Nuto Revelli
Nuto Revelli
Benvenuto “Nuto” Revelli è nato a Cuneo nel 1919 ed è morto nella stessa città nel 2004. La sua vita è stata segnata dalla guerra, prima come diretto partecipante alla disastrosa ritirata italiana sul fronte russo nel ’43, poi come comandante partigiano, e in seguito come testimone delle atrocità vissute, scrivendone con insuperabile onestà e schiettezza.
Diplomatosi geometra, entrò nell’Accademia militare di Modena. Nel 1941 partì sottotenente per il fronte russo con la tradotta della 46° Compagnia del Battaglione Tiràno, V Reggimento Alpini della Divisione Tridentina. Per il suo ruolo nella ritirata dal Don ottenne due medaglie d’argento al valor militare e una promozione a tenente per merito di guerra. «Quando tornai ero un altro. Non volevo più sentir parlare di fascismo. La mia città era piena di fascisti imboscati, quelli che per anni avevano urlato viva la guerra e in guerra ci avevano mandato i contadini. L’8 settembre scelsi definitivamente di fare il partigiano, come rivincita contro i tedeschi che odiavo con tutte le mie forze ed in ricordo degli uomini morti in Russia per niente.» Con altri ufficiali fondò la “Compagnia Rivendicazione Caduti”, in memoria dei soldati morti in Russia. Nel febbraio 1944 salì a Paraloup (Valle Stura) entrando a far parte del comando della banda “Italia Libera” di Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco e Giorgio Bocca. Nei giorni della Liberazione, fu a capo della V Zona partigiana del Piemonte.
Nel dopoguerra la necessità di testimoniare quanto vissuto lo spinse a un compito di narrazione e ricerca che sarebbe divenuto negli anni vero e proprio monumento alla memoria nazionale ed esempio di impegno civile. Un “impegno del dopo” come disse Primo Levi, accomunato da sincera amicizia a Nuto Revelli e a Mario Rigorni Stern, l’altro grande testimone letterario della guerra. «Avevamo una ‘matrice comune’ Primo Levi, Mario Rigoni Stern, ed io così affermava sempre Primo, anche se avevamo vissuto delle esperienze diverse [...] La ‘matrice comune’ a cui si riferiva Primo? Le nostre esperienze di guerra convergenti, ma soprattutto I’impegno del dopo [sic], quel non voler dimenticare, quel voler testimoniare ad ogni costo.»
«Una volta cominciato, scrivere diventa quasi una forma di vizio, non se ne può fare a meno. Per me è un motivo per partecipare. Io ho cominciato a scrivere proprio il 21 luglio del ’42, giorno della partenza per il fronte russo, ho iniziato con un diario di guerra. Pensai che dovevo tenere un diario perché non sapevo nulla sul tema della guerra, che dovevo imparare e confessarmi su quel diario, dicendo tutto quello che pensavo e che facevo.»
Le esperienze della guerra fascista e della lotta partigiana, l’interesse per la storia vista “dal basso” lo guidarono nella raccolta di testimonianze dal mondo dei reduci e poi dal mondo contadino cuneese. «L’ottanta per cento dei miei uomini era contadino. Li hanno mandati a morire per niente in una guerra maledetta che ha cancellato una generazione intera di montanari e contadini. Ne sono tornati pochissimi, a Cuneo. E sono tornati vinti, sconfitti, ma non lo dico in senso dispregiativo. Poi nel dopoguerra questi uomini sono stati completamente abbandonati a se stessi, non sono stati aiutati da nessuno.»
Nei lunghi anni di lavoro, alla scrittura di libri affiancò l’attività di testimonianza nelle scuole: dedicò molto tempo al dialogo con i giovani, affinché “sapessero”, ma soprattutto capissero quanto sia rischiosa l’inconsapevolezza e l’ignoranza.
«Raccolsi le storie di vita de Il mondo dei vinti e de L’anello forte per dare voce a chi era costretto, ancora una volta, a subire le scelte sbagliate degli “altri”. Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi. Guai se i giovani di oggi dovessero crescere nell’ignoranza, come eravamo cresciuti noi della “generazione del littorio”. Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta.»
Tra i suoi libri, tutti editi da Einaudi, La guerra dei poveri (1962), La strada del davai (1966, 2010 e 2020), Mai tardi (1967, 2008 e 2020) , L'ultimo fronte (1971 e 2009) , Il mondo dei vinti (1977 e 2016), L'anello forte (1985) Il disperso di Marburg (1994 e 2008), Il prete giusto (1998, 2008 e 2021), Le due guerre (2003 e 2005), Il popolo che manca (2013), Il testimone. Conversazioni e interviste. 1966-2003 (a cura di Mario Cordero).